Sulle tracce di Dante Alighieri
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Durata: 4 ore
Lunghezza: 2.1 chilometri
Accessibilità: parziale
Punti d'interesse dell'itinerario: Chiesa di San Fermo | Porta Leoni | Casa di Giulietta | Arche Scaligere | Palazzo del Governo | Centro Fotografia Scavi Scaligeri | Piazza delle Erbe | Basilica di Sant'Anastasia | Biblioteca Capitolare | Teatro Romano
Percorso guidato a cura di Anna Lerario di Video Cinema; iniziativa in collaborazione con Società Dante Alighieri-Comitato di Verona Consorzio di promozione turistica Veronatuttintorno.
Verona, città dantesca con Firenze e Ravenna. Siete pronti a esplorare la città scaligera seguendo le tracce del Sommo Poeta?
Non poteva che essere Verona il "primo rifugio e 'l primo ostello" di Dante Alighieri (Paradiso, canto XVII, v.70), cacciato da Firenze nel 1302. Verona era perfetta per l'esule e per il poeta.
Con la signoria Scaligera e in particolare con Cangrande della Scala, la città, all'apice della sua potenza, divenne un polo culturale primario in Italia e si guadagnò la fama di città-rifugio dei numerosi esuli delle lotte di fazione. Il giovane signore scaligero accolse il "ghibellin fuggiasco" con l'ospitalità propria di un principe illuminato e con la generosità di un mecenate, anticipando di un secolo quello spirito che fece onore alle famiglie italiane del Rinascimento.
A Verona Dante visse in tutto circa sette anni: dal 1303 al 1304, ospitato da Bartolomeo della Scala, fratello di Cangrande, e dal 1312 al 1318, ospitato dallo stesso Cangrande. In pratica trascorse a Verona quasi la metà degli anni dell'esilio.
Qui, all'ombra dello stemma scaligero adorno delle ali dell'aquila imperiale, Dante scrisse il "De Monarchia", molte lettere e buona parte del Paradiso, cantica che il sommo poeta dedica allo stesso Cangrande, riservandogli un posto d'onore nella profezia del XVII canto. Qui fece conoscere la sua "Commedia", studiò i testi antichi conservati alla Biblioteca Capitolare, contemplò le vestigia romane sognando un nuovo impero portatore di pace e di giustizia; qui, infine assistette alle imprese dell'unico principe in grado di riportare la pace nel nord dell'Italia dopo i fallimenti degli imperatori d'oltralpe.
Quando Dante arrivò, la città era un immenso cantiere, ricca di fermenti e novità. I Francescani erano all'opera per rinnovare la chiesa di San Fermo e darle una forma più consona alla loro visione spirituale. È probabile che Dante, che amava San Francesco, vi andasse spesso per assistere ai lavori dei mastri.
La nuova chiesa gotica avrebbe espresso, nell’unica aula, ampia e luminosa, la gioia di vivere propria di quest’ordine mendicante: dal procedere lento, indotto dalla suddivisione in navate della precedente chiesa romanica, si passa alla voglia di correre come davanti a un prato. Dante, come gli stessi Scaligeri che favorirono i Francescani, condivideva questo cambiamento: mai come allora la Chiesa aveva bisogno di purificazione per tornare ad essere la guida spirituale dell’umanità.
Non è un caso che i discendenti di Dante avessero scelto questa chiesa per collocarvi il loro sepolcro, situato ancor oggi alla destra del transetto, nella cappella Alighieri.
San Fermo si trova all’inizio del cardo massimo (oggi via Leoni e via Cappello), la direttrice che insieme al decumano massimo genera l’originario tracciato romano della città. Percorrendolo ci si imbatte infatti nell’antica porta romana denominata dei ‘Leoni’. Verona ha preservato moltissimi resti del suo passato romano, evitando le invasioni barbariche più rovinose grazie alla sua poderosa cinta muraria; in nessun’altra città del nord Italia Dante poteva vedere tradotto in pietra lo spirito dell’antica Roma. A Verona il suo sogno politico era concreto e visibile in un’architettura che esprimeva solarità e civiltà.
Anche la struttura complessiva della città rivela la visione degli antichi romani: un impianto armonico e grandioso che trovava perfetto compimento nel colle di San Pietro, trasformato in magnifico fondale scenografico grazie al superbo teatro (l’attuale Teatro Romano) e al tempio sovrastante.
“Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, /Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura, /color già tristi, e questi con sospetti”: Dante, in questa terzina del Purgatorio (canto VI, vv.106-108), invita l’imperatore Alberto d’Austria a venire a vedere la sconfortante situazione in cui si trovava l’Italia, e porta come esempio proprio Verona, insanguinata dalle continue lotte fra i Montecchi e i loro avversari.
Davanti all’ingresso della casa di Giulietta il sogno finisce, la luminosa visione di Dante si offusca. Par di sentire le urla di quei veronesi che nel 1200, dall’alto di questa torre, lottavano contro altri veronesi, prima che gli Scaligeri, soprattutto con Alberto Della Scala, padre di Cangrande, ponessero fine alle lotte intestine. E non è leggenda: questo era il quartiere dei conti di San Bonifacio, nemici storici dei Montecchi. Forse Giulietta è un’eroina leggendaria, ma la casa-torre di Via Cappello n. 23 apparteneva veramente a una famiglia rivale dei Montecchi; una casa che almeno dal 1300 apparteneva a una famiglia “Cappello”, la cui fazione, chissà, poteva chiamarsi “Cappelletti".
Questo quartiere presso il Ponte Nuovo era controllato dai Montecchi, protagonisti, nella leggenda e nella storia, delle lotte tra fazioni che insanguinarono Verona per tutto il 1200. Per arrivarci bisogna attraversare l’attuale piazza delle Poste e il suo giardino botanico, dove continuavano i palazzi degli Scaligeri.
Fu Cansignorio, a metà del 1300, a ingrandire verso sud il precedente palazzo di Alberto, oggi ancora visibile. Le dimore della famiglia di Giulietta e della famiglia di Romeo erano perciò separate proprio dalle residenze dei Signori di Verona.
Queste case per Dante rappresentavano quindi il presente, quella terribile realtà di cui lui stesso era stato vittima quando la fazione avversa lo cacciò da Firenze. E la stessa sorte toccherà infatti a Romeo, bandito da Verona dopo l’uccisione di Tebaldo, come raccontò nel 1500 Luigi Da Porto, primo autore della celebre storia immortalata, alla fine dello stesso secolo, da William Shakespeare.
Lasciando i luoghi che per Dante rappresentavano la triste realtà del presente, ci si avvicina ai luoghi che invece rappresentavano la speranza nel futuro: le vie dove si affacciano i palazzi degli Scaligeri (oggi non visitabili).
Dante non aveva sotto gli occhi le Arche Scaligere, straordinario esempio di un gotico fiorito che viene dal Nord, sorte negli anni Trenta del Trecento. Di sicuro però visitava spesso il palazzo di Cangrande, assiduamente frequentato da artisti, scienziati e rifugiati politici, come racconta Manoello Giudeo, poeta amico di Dante: ‘Baroni e marchesi de tutti i paesi, /gentili e cortesi qui vedi arrivare; /quivi astrologia con philosofia /et de theologia, udirai disputare.”
E’ molto probabile che Dante abbia anche vissuto in questo palazzo, perché il principe aveva stanze per ogni categoria di ospiti (cavalieri, artisti, mercanti, …). Di certo qui ha mangiato moltissime volte, scambiando battute sagaci col signore scaligero. Nella chiesa di Santa Maria Antica, tempio privato degli Scaligeri che ospita il noto cimitero pensile, Dante ha sicuramente pregato, vagheggiando giustizia per sé e per il mondo…
Cangrande vive in eterno nel XVII canto della Divina Commedia (vv.70-93): “Le sue magnificenze conosciute /saranno ancora, sì che ‘suoi nemici /non ne potrai tener le lingue mute.”
La statua di Dante si trova al centro della Piazza su cui si affacciano i palazzi degli Scaligeri perché Dante qui era di casa. Ed è interessante notare che si tratta di un luogo non comune: la strada romana scavata sotto l’attuale via Dante rivela una vasta area archeologica sotterranea.
Presso il Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri, sotto il Cortile del Tribunale, all’interno di quello che fu il palazzo di Alberto e di Cansignorio della Scala, si può viaggiare nel tempo percorrendo 1300 anni di storia fra mosaici di ville romane, fondamenta di torri medievali, casette del V secolo d.C. e tombe longobarde dell’VIII.
(Il Centro è oggi momentaneamente chiuso al pubblico - n.d.r.)
Dante quindi calpestava un suolo che nascondeva un concentrato di storia eccezionale. Ma lui questa importanza storica di Verona comunque l’avvertiva: nel via vai continuo di personaggi rinomati, nei cantieri che stavano innalzando chiese magnificenti, nella vivacità dei mercati.
A proposito di mercati, ecco quello storico della città, il cuore di Verona che palpita da 2000 anni: piazza Erbe. Tutte le case che vediamo sono medievali, le splendide case dipinte sono le case dei Mazzanti, ex-granai scaligeri; scaligera è anche la Domus Mercatorum, la casa dei mercanti (eretta da Alberto della Scala).
Mentre rinascimentale è il rivestimento del palazzo del Comune, barocco è invece il festoso edificio che fa da sfondo alla piazza, palazzo Maffei. Anche la fontana contribuisce alla vivacità di piazza Erbe, che dal tempo di Dante doveva essere brulicante di mercanti e artigiani. E non è un caso che la fontana di Madonna Verona abbia una doppia anima: con la testa medievale e il corpo romano di dea pagana, essa è il simbolo dell'unione fra mondo classico-pagano e mondo moderno-cristiano, unione che Dante vagheggia e che sembra realizzarsi proprio a Verona, città che ha saputo mantenersi viva in ogni epoca.
Al tempo di Dante anche qui c’era un cantiere: i Domenicani, col sostegno degli Scaligeri, stavano costruendo la loro basilica. San Domenico, loro fondatore, è l’altro santo amato da Dante, l’altro pilastro su cui auspica possa fondarsi la nuova Chiesa.
Anche Sant'Anastasia, come San Fermo, esprime il nuovo stile gotico che si può ammirare ancor oggi nell’altezza delle campate, nello slancio degli archi acuti e delle volte a costoloni, nello stile degli affreschi. In questa basilica hanno lavorato insigni pittori che operarono alla corte degli Scaligeri, come Altichiero. Sempre qui si rimane rapiti dal noto affresco “San Giorgio e la principessa” del Pisanello che, realizzato nel Quattrocento, esprime un gusto sempre più laico, cortese e fantastico.
Presso questa chiesa, fra l’altro, sembra ci fosse il primo sepolcro dei discendenti di Dante, quegli Alighieri che due secoli più tardi misero radici in Valpolicella. Per di più la casa di Pietro, figlio di Dante, è proprio quella all’angolo sinistro di fronte a Sant'Anastasia, riconoscibile dagli archi medievali tipici veronesi, caratterizzati dall’alternanza di tufo e mattoni; archi che troviamo murati in moltissimi edifici del centro storico.
Davanti al fiume Adige, che gli ricorda l’Arno, davanti alle colline, anch’esse familiari, Dante non può non venire rapito da sentimenti di profonda nostalgia, una nostalgia amara che gli consuma il cuore.
Proprio qui, di fronte a noi, a destra del Teatro Romano, sorgeva il palazzo di Teodorico, i cui resti erano ancora visibili al tempo di Dante. Presso il re dei Goti operò come ministro il filosofo Boezio, autore del ‘De consolatione philosophiae’. Il pensiero di Dante va a un altro innocente vittima di ingiustizia: Boezio venne accusato di complotto, Teodorico lo condannò e, dopo un anno di prigionia, lo fece giustiziare. Il pensiero di questo crimine avrebbe tormentato il re barbaro fino all’ultimo dei suoi giorni: si narra che Teodorico, chiuso nel suo palazzo veronese, avesse terribili visioni.
Dante, davanti al fiume che scorre via, pensa con rabbia alla triste fine del filosofo, ma poi si rasserena e lo sente vicino: in carcere Boezio aveva trovato la forza di sopportare la sua ingiusta condanna con spirito cristiano e amore per la conoscenza, unica vera consolazione di fronte alle ingiustizie della vita. Dante torna a immaginarlo in Paradiso, dove è sicuro che la sua anima si trovi, finalmente appagata dalla beatitudine eterna (canto X, vv.121-130).
Fra i tanti rifugiati politici, troviamo a Verona anche l’altro pilastro della lingua italiana: Francesco Petrarca. Amico di Pietro Alighieri, figlio di Dante, il poeta toscano soggiornò spesso qui, nella casa dell’amico Guglielmo Guarienti da Pastrengo, con il quale condivideva l’amore per i classici e le scoperte che faceva presso la vicina Biblioteca Capitolare. Il padre di Petrarca, inoltre, era amico di Dante e fu esiliato da Firenze per gli stessi motivi politici. Anche Petrarca dunque, se da una parte conobbe l’esilio, dall’altra godette del favorevole clima culturale che si era instaurato a Verona. Entusiasta del mondo umanistico che intravedeva nei testi classici scoperti a Verona, trovò rinnovato vigore nella sua ricerca culturale e nel suo impegno per riportare la pace in Italia.
E’ il 20 gennaio 1320. Fa freddo. Dante è nervoso: alla conferenza mancano molti degli invitati. Qualcuno tra i presenti abbassa gli occhi: non regge lo sguardo infuocato di Dante. Qualcuno pensa: “c’è andato veramente all’inferno…”. E d’altronde come chiamarlo quel peregrinare infinito da un luogo all’altro, condannato a salire sempre ‘l’altrui scale’, obbligato a vivere accanto a buffoni, giullari e cortigiani? Cos’altro poteva essere per un uomo retto, colto, pieno di ingegno, quel continuo mendicare ospitalità in cambio di servizi d’ambasceria, senza mai un vero lavoro, una sicurezza che potesse garantirgli almeno dignità e un futuro per i propri figli?
Qui, a Sant'Elena, ha una speranza: con la sua dissertazione su un tema molto dibattuto al tempo (il problema dell’altezza delle acque rispetto alla terra), ha la possibilità di mostrare ai professori e agli studiosi dell’Università di Verona, allora vivido polo culturale, tutta la sua sapienza e la sua capacità di padroneggiare la fisica, conquistandosi la dignità di uno studioso affermato, e magari una cattedra. Ma in molti lo boicottano, segno inequivocabile che il riconoscimento tanto agognato non l’avrà mai.
Eppure c’è il sapere, ancora e sempre il sapere: la “consolazione della filosofia”. Dio non è messo in discussione, fede, amore e poesia sono fondamentali; ma l’uomo ha anche l’intelletto, la capacità raziocinante, e anche questa lo salverà dalla selva oscura. Nella “Quaestio de aqua et terra” Dante intuisce i fondamenti della futura scienza avvertendo una contraddizione tra i dati dell’esperienza ed il modello teorico del mondo derivato da discipline astratte come la teologia. Nella sua meticolosa argomentazione che non trascura alcun dettaglio per meglio farsi ascoltare e rispettare dai sapienti del suo tempo, si avverte ancora una volta lo slancio e la passione di un uomo che, pur in un epoca buia e brutale, non smette di credere nella razionalità dell’uomo.
E il futuro si respirava in particolar modo a Verona. Petrarca e altri intelettuali hanno modo di avvicinarsi ai classici presso la Biblioteca Capitolare: in questo antichissimo luogo scoprono testi latini che riveleranno un mondo nuovo e costituiranno le basi del Rinascimento.
E’ molto probabile che anche Dante vi venisse spesso, attratto dal luogo dove sono conservati i codici di Giustiniano, i testi del diritto romano che sono alla base delle leggi della civiltà occidentale. Infatti anche Giustiniano, come Boezio, è nel Paradiso di Dante (canto VI), proprio per aver promulgato quelle leggi e aver stabilito così i presupposti per un impero giusto e civile. Ora che siamo alla fine del viaggio, ecco tornare il grande ideale di Dante, e con esso l’immagine del poeta di nuovo speranzoso, proiettato nel futuro che sogna: la città di Cangrande è anche la città che custodisce le fondamenta giuridiche dell’impero romano. Davvero qui c’erano tutti i segni per l’avvento di un nuovo mondo! Davvero qui Dante fra i ricordi, la rabbia, l’angoscia e la nostalgia, talvolta, può aver preso il volo…sulle ali dell’aquila scaligera.
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